domenica 31 dicembre 2017

La chiesa di San Secondo a Cortazzone, il romanico barbarico in Piemonte e l'altra cristianizzazione del Piemonte.

Prima o poi dovevamo farlo, un post dedicato a questa incredibile e misteriosa chiesa persa tra i colli astigiani. San Secondo è un monumento unico, per vari motivi e per questo è stato dichiarato Monumento Nazionale. Questa zona del Piemonte è disseminata da piccole chiese solitarie che un tempo erano le chiese degli innumerevoli villaggi che sorgevano tra i boschi e le paludi che coprivano il territorio piemontese. Le popolazioni di origine celtica (o celto ligure se ci tenete) che abitavano fuori dai centri più importanti che si erano costituiti in epoca romana continuavano a vivere in modo molto primitivo, la fede cristiana era praticata superficialmente, insieme ai culti pagani di pietre, alberi, fiumi, ecc... che continuavano a svolgersi nelle campagne nonostante le missioni di evangelizzazione di Sant'Eusebio. Fu per questo che intorno all'anno mille il vescovo di Piacenza inviò dei monaci per insegnare l'agricoltura e per evangelizzare queste popolazioni ancora che vivevano "nell'ignoranza e nella superstizione". Ed è per questo che in questi luoghi lo stile romanico ricco di peculiarità, a volte detto barbarico. E' questo il periodo in cui poco distante da qui è anche nato e cresciuto San Baudolino di cui abbiamo parlato (LINK) per capire il contesto. Anche se si cerca di dimenticarlo e soprattutto si cercava fino a qualche decennio fa, il paganesimo era difficile da estirpare completamente. Si è trattato più che altro di nasconderlo. Così mano a mano che Giove e Taranis diventavano Dio, il Sole diventava suo fglio il Cristo e le sue caratteristiche più terrene venivano trasferite a San Giovanni, le matrone e le dee femminili dopo tanti tentativi restavano impossibili da eliminare e si trasformavano nelle varie madonne, molti altri dei e spiriti locali si trasformavano a loro volta in santi, altri culti come quello delle pietre erano veramente impossibili da cristianizzare, anche per il loro carattere rurale ancora più ai limiti. Fu così che ci si limitò a incidere croci sulla roccia o ad associare un santo o una madonna a questi luoghi. Sui monti si costruirono santuari e così via.


Ma torniamo a cercare di capire perché questo territorio sia pieno di chiesette romaniche isolate: come si diceva poco più in alto verso la fine del primo millennio queste zone erano ancora coperte da selve realmente selvagge (silvae, sterminate foreste naturali) e da boschi (boscha) già soggetti a ceduazione per produrre legname. Con il finire delle incursioni ungare, saracene e normanne un po' in tutta Europa ci fu un miglioramento delle condizioni sociali, un incremento demografico che portò ad un allargarsi delle coltivazioni cerealicole e al pascolo con il formarsi di nuovi villaggi contadini e con l'allargarsi dei ancuni di essi in veri e propri paesi. Fu allora che proliferò il sistema delle pievi e dei sentieri sacri che portavano i pellegrini a roma da tutta Europa. Gran parte degli edifici romanici che oggi costellano le colline, i bordi dei campi o si nascondono tra i pochi boschi rimasti nacquero come chiese di villaggio. Edifici battesimali, tituli (chiese minori) molti dei quali sono tra l'altro andati perduti. Verso la fine del medioevo con una nuova instabilità politica, ci fu un nuovo calo demografico, una regressione agraria e una nuova espansione delle selve, la famosa crisi del 1300. I contadini abbandonarono villaggi e paesi che erano costruiti in legno e malta di fango e di cui non ci è rimasto praticamente niente se non le chiese ed i cimiteri isolati che infatti erano costruiti in solida pietra locale e mattoni, oggi isolate e solitarie.
Un altro caso molto interessante e che probabilmente interessa San Secondo è che le piccole chiese sorsero in luoghi dominanti in cima a colli e colline o che in passato avevano accolto le aediculae pagane (nota 1), mucchi di pietre rituali, gli ometti che ancora oggi in Piemonte vengono chiamati mongioie e guarda caso il colle su cui sorge si chiama proprio Mongiglietto dal latino Mons Iovis, Monte di giove. Il Giove in questione generalmente poteva essere una divinità associata in epoca romana, come ad esempio il Giove Pennino, romanizzazione di Penn, divinità celtica e ligure delle alture da cui appunto deriva il nome delle Alpi Pennine, dei tanti monti Penna e Pennino e appunto degli Appennini.


L'edificio: la pianta principale è suddivisa in tre navate orientate verso il sorgere del sole che terminano in altrettante absidi circolari. La chiesa è prevalentemente costruita in pietra arenaria locale con inserimenti in mattoni e misura 19,50 metri di lunghezza per 8,60 di larghezza, mentre il colmo del tetto arriva a 8,25 metri. La facciata anch'essa principalmente in pietra è sovrastata da un campaniletto di mattoni aggiunto nel 1600 per richiamare i fedeli. Sopra al doppio arco di pietra si vede una cornice di conchiglie che indicherebbe il luogo di sosta sulla via dei grandi pellegrinaggi e sotto gli archetti si vedono le prime sculture zoomorfe molto consumate. Il lato nord è piuttosto disadorno mentre le absidi sono riccamente decorate con semicolonne e capitelli floreali. Nodi e altri motivi floreali decorano le mensole su cui appoggiano gli archetti. Sotto uno di essi c'è una figura umana che si aggrappa (abside centrale) vicino ad un nodo di Salomone e sotto ad un'altro (abside sud) vengono raffigurati due seni, forse simboli di fertilità che ritroviamo anche del lato sud. Potrebbero anche essere simbolo della vergine che allatta (Iside) cara a Bernardo di Chiaravalle e, si dice, ai Templari.




Ma è la facciata sud quella che merita più attenzione. Le decorazioni a "scacchiera continuano sulla fascia bassa e nella parte alta della navata centrale vediamo nodi, intrecci, fogliami, copitelli scolpiti, gli stili cambiano di continuo anche nella stessa monofora indicando probabilmente diversi autori o forse diversi tempi di realizzazione. Le teste umane semplificate sono in tipico stile celtico primitivo, tanto da rimandare alla scultura preistorica e al culto celtico della testa. Sotto uno degli archetti ritroviamo i due seni ma la scultura più enigmatica è rappresentata dai due corpi, ancora una volta in stile più primitivo, rispetto agli altri rilievi romanici, che si accoppiano. Il soggetto sicuramente non comune in una chiesa, ma non così raro in epoca medievale al contrario di quanto si pensi. E' comunque probabilmente sopravvissuto alla sessuofobia e alla censure dei secoli successivi grazie all'intonaco che lo ha coperto per molto tempo ed è reso ancora più particolare dalla chiara rappresentazione dei genitali maschili e femminili.

L'accoppiamento sulla chiesa di San Secondo di Cortazzone (1000 circa)

Questa scultura è un mistero. Sulla guida ufficiale di San Secondo edita dalla omonima Parrocchia, Giovanna Gandolfo Fex cerca una spiegazione nelle tradizioni preistoriche locali che in quel periodo dovevano essere ancora molto presenti e che insieme ai seni dovessero propiziare il concepimento e il parto dei figli in epoche in cui la mortalità era altissima. L'unica corrsipondenza diretta si trova su di un capitello sulla cattedrale di Notre Dame du Peyrou a Clermont-l'Hérault nel sud della Francia (ancora una volta a testimoniare lo stretto rapporto tra i due territori) anche se è datata tre secoli dopo ed è molto più dettagliata. Nonostante la differenza di dettaglio e di stile, una somiglianza del genere fa pensare a qualche modello comune che doveva circolare in qualche modo.

L'accoppiamento a Notre Dame du Peyrou a Clermont-l'Hérault (1300 circa)

Le interpretazioni più comuni rimandano ai culti celtici della fertilità, ancora molto vivi nelle campagne di epoca medievale, altri a cosmogonie telluriche preistoriche. Altre due particolarità di questa chiesa e del romanico astigiano sono le fasce a "dente di lupo" che ritroviamo anche nelle chiese di Montafia, di Montechiaro d'Asti, a Trinità da Lungi a Castellazzo Bormida, ecc... e che sono ottenute con triangoli in cotto e in pietra e i nodi e intrecci di cui abbiamo parlato sopra.


In questo caso le decorazioni che normalmente definiamo "celtiche" si discostano più marcatamente dall'influenza bizantina e gli intrecci floreali presenti su alcuni capitelli, tipici dell'arte romanica, diventano più astratti e primitivi diventando davvero unici. Possiamo trovare qualcosa di simile in altri edifici della zona e in generale in decorazioni di epoca longobarda come sui resti del vecchio duomo di Torino, ma qui sono meno geometrici e irrazionali. Da un punto di vista artistico sono incredibili, troviamo una stratificazione del gusto gallico, germanico e cristiano e in un certo modo ci fa notare come l'influenza classica fosse passata in Europa intorno all'anno 1000 e in particolare da queste parti.

Altri elementi notevoli che di solito passano più inosservati, presenti sullo stesso lato della chiesa, sono un "serpente sacro" intrecciato tra i classici nodi che però, come l'accoppiamento, è realizzato con uno stile più primitivo rispetto agli altri motivi geometrici, probabilmente, come dicevano sopra, da artisti diversi. 


All'interno (chiedo scusa per le foto, durante l'ultima visita la chiesa era chiusa e non trovo le foto fatte in precedenza) troviamo una volta ricostruita nel '700, probabilmente quella originale doveva essere a botte, classici motivi romanici, con sirene, melusine, animali fantastici e chimere varie che dovevano popolare l'immaginario medievale in Europa e che, come all'esterno, si differenziano molto come stile e finiture. In oltre si trovano anche i resti di un affresco.




Nelle sirene ritroviamo la figura di Melusina (di cui abbiamo parlato in precedenza LINK) della mitologia medievale e gli espliciti riferimenti sessuali femminili. Ci sono riferimenti astronomici e la navata è rivolta al sorgere del sole con i fedeli rivolti ad est.

NOTE:
1) AEDICULAUE: Cumuli di pietre con significato rituale religioso innalzate ai bordi dei sentieri prima dai galli che lo dedicavano a Bel o a Penn e poi dai romani che li dedicavano a Giove (Giove Pennino per l'appunto in area gallo romana) da qui Mont Iovis. Questi mucchi di pietre sopravvivono ancora oggi in maniera un po' superstiziosa e per indicare il sentiero sorgono sui bivi in montagna o in punti in cui è facile perdere di vista la strada. Essi sono molto simili ai muri mani tibetani o agli ovoo mongoli vedi LINK) e come si diceva ancora oggi vengono chiamati mongioie in Piemonte e ometti in Italiano. 

LINKS:
https://www.avvenire.it/agora/pagine/ometti-cuore-pietra
http://www.ruditoffetti.it/articoli/cortazzone.html

BIBLIOGRAFIA:
Alla scoperta del romanica astigiano - Franco Correggia, edizioni del Capriolo.
San Secondo in Cortazzone, Guida alla visita - edizione a cura della Parrocchia di San Secondo
Dalla pieve alla cattedrale nel territorio di Alessandria - Cassa di risparmio di Alessandria





venerdì 29 dicembre 2017

I fiumi Tanaro, Bormida e altri idronimi celtici e preromani in Piemonte.

VEDERE il più ampio post sui toponimi celtici e preromani in provincia di Alessandria: http://leradicideglialberi.blogspot.com/2021/03/toponimi-celtici-nel-territorio.html
Pur essendo uno dei primi affluenti del Po, il Tanaro è uno dei fiumi più importanti d'Italia. Sesto per lunghezza e quarto per ampiezza del bacino idrografico. Inoltre alla confluenza con il Po il Tanaro risulta essere più lungo, 276/290 contro i 230 del Po. Questo ha causato alcune discussioni tra gli studiosi. Comunque il fiume con le sue caratteristiche acque limacciose si forma nel Piemonte sud occidentale nel territorio comunale di Ormea dall'incontro tra il torrente Tanarello con il Negrone. Anche per queste ragioni mitologicamente potrebbe essere addirittura identificato con il famoso Eridano. Visto che non possiamo dilungarci troppo e che esiste Wikipedia passiamo a dire che il Tanaro prosegue come spumeggiante fiume alpino ingrandendosi man mano che raccoglie le acque dei suoi affluenti arrivando in Pianura alla confluenza con il Po, attraversando le province di Imperia, Cuneo, Asti e Alessandria.

Il Tanaro alle porte di Alessandria

Quello che però ci interessa ora è l'origine del nome, che precisamente deriverebbe del gallico Taranus (variante di Taranis) temporale, tuono, e quindi dal nome del dio del tuono e del temporale "Toranus" Tonarus affine al Thor germanico e allo Zeus greco, venne poi in epoca Romana assimilato dal Giove romano; Un altra possibilità è che derivi dall'unione dal celto ligure Tan (Falesia) e Ar (Fiume). Si potrebbe dire in effetti lo stesso del fiume francese Tarn, non troppo lontano.

Altro fiume che ci interessa del basso Piemonte è il Bormida anzi più esattamente La Bormida che confluisce nel Tanaro alla periferia di Alessandria, poco prima che quest'ultimo si immetta nel Po. Il suo nome antico piemontese-ligure è Burmia o Bormia e anch'esso nasce sulle Alpi Marittime, nel primo tratto chiamato Bormida di Millesimo. Complessivamente è lungo 180 km ha un bacino molto esteso (la Val Bormida) ed è famoso per i gravissimi problemi di inquinamento dovuti agli scarichi dell'ACNA di Cengio che lo resero uno dei più inquinati dell'Italia del Nord fino al 1994.

La Bormida passa sotto il ponte antico di Monastero Bormida.

Anche in questo caso però quello che ci interessa è l'origine del nome e bisogna bisogna andare indietro in epoca preromana al periodo celto-ligure (e pensare che ancora oggi i liguri dell'età del ferro vengano tenuti separati dalla cultura celtica per ragioni nazionalistiche). I vari nomi assunti dalla Bormida (risalendo alle fonti troviamo ben quattro fiumi con questo nome) risalgono così alla parola gallica pre-romana "bormo" (sorgente calda o che gorgoglia), legata anche al dio delle sorgenti Bormō (conosciuto con molte varianti Borvo, Bormānus, Borbanus, ecc... "il gorgogliante"). Egli era legato alla salute delle acque sorgive e alle fonti termali. Forse dato il carattere femminile potrebbe essere legato alla sua consorte Bormana (stessa radice) simile a Sequana. Ricordiamo che il fiume attraversa Acqui Terme, "Aquae Statiellae" in latino, centro principale dei liguri Statielli famoso in epoca romana e contemporanea per le sue acque calde termali. A questo punto bisogna per forza ricollegarci ad un altro corso d'acqua della zona ligure piemontere il Borbera che scorre nella omonima valle in provincia di Alessandria derivante dalla stessa radice e il torrente Bòrbore. Con la stessa orgine e forse legati alle stesse divinità troviamo molti toponimi specialmente in Italia del nord ovest e nella Francia centro orientale che hanno a che fare con sorgenti termali: la città di Bormio in cui i romani costruirono le terme come Bourbonnes Les Bains, Bourbon Lancy, Bourbon-l'Archambault.


Il torrente Borbera attraversa l'omonima valle.

Per finire, restando sempre nel basso Piemonte passiamo alla frazione Saquana di Cartosio (AL) zona famosa in antichità per le fonti e per la presenza di popolazioni celto liguri (gli Statielli, vedi appunto i toponimi Cartosio, Camugno, ecc... link: http://leradicideglialberi.blogspot.com/2021/03/toponimi-celtici-nel-territorio.html)  Il nome potrebbe derivare semplicemente da acqua, ma il fatto che uno dei corsi d'acqua che da li hanno origine si chiami "Rio della Madonna" ci fa pensare un collegamento diretto con la dea Sequana, protettrice delle acque che da il nome niente di meno che alla Senna. Curiosità: l'altro rio è detto Taravorno, sempre per tornare alla radice celtica Tar. Spostandoci un poco più su, troviamo poi il torrente Soana, affluente dell'Orco che da il nome alla Val Soana e da cui prende il nome il paese Valprato Soana. Il nome sarebbe omofono della Senna e probabilmente deriva dalla stessa radice.

mercoledì 8 novembre 2017

MASCHE E MASCONI - 1: chi è la masca?

Leggi gli altri post su: MASCHE E MASCONI

Masca è un termine ancora in uso in territorio piemontese e che, grossolanamente identifica la Strega. Sembra che non sia di uso comune soltanto nel vercellese e nel novarese, ma dalle alpi Biellesi fino alle Langhe al confine con la Liguria e al Monferrato astigiano e alessandrino si possono rintracciare storie nel folklore, nella mitologia locale e a volte anche nomi di luoghi.  Esistono le Masche ma anche i Masconi, ossia simili individui di sesso maschile. Prima di passare ad approfondire questa figura in particolare vorrei analizzare il termine, con cui nei vari paesi e regioni, venivano chiamate le Streghe. E' fatto veramente interessante e curioso pensare che in ogni lingua, esiste un termine diverso, il più delle volte senza nessuna origine comune per indicare questa figura che non esiste solo in Europa, ma praticamente in un tutte le culture del mondo. Witch in inglese, Sorcière in francese, Bruja in Spagna, Hexe in tedesco, Carovnica in molte lingue slave, ma basti vedere soltanto le differenze nel territorio italiano dove il nome Strega che deriva dal latino Stryx (uccello notturno, barbagianni) trova differenti sinonimi regionali: oltre alla variante Stria rintracciabile in gran parte del nord, abbiamo Masca appunto, in Piemonte, Basura in Liguria, Janara in Irpinia e poi Magara, Magga ecc... nel sud, per nominare solo i più conosciuti. Questo è un punto su cui anche gli antropologi si interrogano. Non esiste per esempio un comune termine originario per questa figura nelle lingue Indoeuropee, sembra che ogni zona abbia le sue particolari streghe legate a quel territorio in particolare.

"The wilder man" in Francia - Charles Fréger 

Il termine MASCA ha un'origine incerta, probabilmente longobarda, le teorie più accreditate lo accostano al termine "maschera" per quanto riguarda l'origine. La prima volta di cui ne abbiamo notizia è nell'editto di Rotari del 643 d.c. in cui leggiamo: "Si quis eam strigam, quod est Masca, clamaverit" col significato di strega appunto. Un termine usato dai longobardi quindi per indicare le "fattucchiere" ma anche gli spiriti di diverse origini, purtroppo però non sappiamo se fosse arrivato con loro dalle aree germaniche o se fosse già esistente prima in zona, in quanto Liguri e Celti non ci hanno lasciato documenti scritti. Nell'antico provenzale "Mascar" vorrebbe dire borbottare, nel senso di sussurrare incantesimi. In ogni caso questo termine in epoca medievale in alcuni scritti tardo latini del nord ovest, diventa sinonimo di "Larvae" e quindi di fantasma, anima dei morti, spirito oscuro. Possiamo vedere questo termine come tipico dell'area piemontese, una parola che si perde nelle origini liguri, galliche, latine e germaniche delle sue genti. Non mi dilungherei oltre sull'origine del termine visto che sia in rete che su carta è stato scritto molto sull'argomento.

Torniamo ora alla figura della Masca (e del Mascone). Gran parte delle storie non cambierebbero se usassimo il termine "strega"; donne vecchie e dall'aspetto sgradevole che vivono ai limiti della società, che facevano malefici, provocavano tempeste e si trasformavano in animali. Questo è vero  specialmente quando si legge qualche libro di quelli che sono spuntati come funghi sui banchetti negli ultimi anni con la riscoperta della masca e il suo sfruttamente da parte del turismo, specialmente langarolo, in cui a volte vengono scritte storie scritte inventate o addirittura di altre zone per motivi prettamente commerciali (io sono uno di quelli che a prescindere non riesce a trattenersi dal comprare quasi tutto per poi restare molte volte deluso). A parte questo, si vede subito che nei racconti di Masche c'è un rapporto più forte con gli elementi della natura: i casi in cui queste ricorrono alla "rugiada" per guarire, sono legate agli alberi, provocano gli agenti atmosferici per creare problemi ai paesani sono più numerosi di quelli che si riscontrano negli altri racconti di streghe. Anche le trasformazioni in animali, principalmente gatti, volpi, bisce e rospi (ma non solo) sono frequentissime, ma restiamo comunque nello stereotipo classico della strega. C'è una caratteristica chiave però di questa figura che affascina lo studioso della storia della stregoneria e che affascina gli antropologi: i richiami all'animismo precristiano, allo sciamanesimo sono molto più chiari: La Masca non è sempre cattiva, anzi molte volte si tratta di un personaggio, in molti casi anche maschile, a cui la gente del villaggio o della valle si appella per farsi guarire. Addirittura questi personaggi sono così frequenti e popolari che quando vengono denunciati e processati vengono puniti con penitenze davvero leggere, come recitare preghiere o stare sulla soglia della chiesa per tempi variabili. Alcune zone del Piemonte come certe vallate alpine, le Langhe e il Monferrato sono fino all'anno 1000 ancora coperte da fitte foreste in cui la gente lontana dai pochi e piccoli centri urbani vive in villaggi di legno e che in parte pratica ancora forme religiose arcaiche che non sono cambiate per migliaia di anni. Per farsene un'idea basta pensare alle piccole pievi romaniche, dei secoli XI-XIII dai tratti rozzi e barbari che si ergono solitarie in mezzo a campi o boschi ancora oggi perchè i piccoli villaggi di legno che le circondavano sono spariti a causa dei materiali deperibili. Un'esempio lampante è la chiesa di San Secondo a Cortazzone (Asti), costruita  attorno all'anno 1000 da monaci provenienti dal Piacentino, mandati a cristianizzare le popolazioni di queste terre. Su queste piccole chiese sono chiare le simbologie pagane, i riti della fertilità che i missionari cercavano di unire al culto di Cristo per avvicinare queste popolazioni alla "vera fede" ancora un millennio dopo la nascita di Cristo.

Accoppiamento raffigurato sulla chiesa di San Secondo a Cortazzone

Tutto questo discorso mi viene necessario per dare l'idea di quale fosse la situazione in molte aree del Piemonte medievale in cui vivevano i nostri avi, ben diverso da quell'Italia classica e cristiana a cui pensiamo normalmente e a probabilmente questa situazione sparì con molta difficoltà e alcuni frammenti erano ancora vivi fino al secolo scorso. E' qui che possiamo inserire le molte "Pietre delle Masche" e pietre guaritrici rintracciabili in tutto il Piemonte che con qualche croce aggiunta e qualche esorcismo sono arrivate fino a noi. E possiamo ance inserire la figura dei vari "Frate masca" o "Prete masca" sicuramente più accettabili rispetto alle "suore o monache" masca che a causa del sesso erano più a rischio. Non solo nel folklore, ma anche nelle storie di paese è infatti facile imbattersi in queste figure, frati o preti cristiani che però si intendevano anche di magia, o meglio facevano "la fisica" e che probabilmente andavano a sostituire i vecchi "guaritori" e "guaritrici", druidi e druidesse (LINK), maghi e sciamane che probabilmente davano alle popolazioni rurali quello che i rappresentanti della nuova fede non erano in grado di dare: un aiuto pratico contro malattie, siccità, e cose del genere. Di questo tipo di racconti è pieno il territorio piemontese e sono pieni i documenti processuali dei tribunali dell'inquisizione locale e man mano vedremo di riportare i più significativi e interessanti su queste pagine.

L'apparizione di una Masca in una faggeta, interpretazione artistica contemporanea.

La masca poi in molti casi non è solo strega, intesa come maga o fatucchiera umana, ma è uno spirito della natura. Non solo può trasformarsi in un gatto, in cane o in altri animali (con alcuni problemi come vedremo nelle storie singole, ad esempio conservare la coda o i piedi animali anche nella forma umana) ma anche in alberi e altri vegetali o addirittura in agenti atmosferici come la Nebbia (la famosa masca Nebbiassa) o la neve. Questo non può che non farci pensare all'animismo in cui credevano i nostri avi e che esisiste ancora oggi in società primitive ma anche molto meno primitive come il modernissimo Giappone! A volte si tratta chiaramente della sopravvivenza di divinità pagane soppiantate dal cristianesimo ma mai del tutto sparite, come la Masca dell'Inverno. Quando comunque parliamo di "Masche umane", ed è la maggior parte delle volte, c'è un'altra peculiarità da ricordare: la Masca è masca per ereditarietà familiare (di solito però sono le figlie a ricevere i poteri) oppure in altri modi curiosi. Ad esempio il "dono" può essere passato ad un'altra persona, ma anche a gatti, rospi ecc... in punto di morte. E' in questo modo che nascono i Masconi, ed è per questo che non bisogna mai toccare o guardare negli occhi una Masca! Di questo parleremo meglio in un post apposito comunque. Altra caratteristica comune però a molte testimonianze dei Sabba e delle "feste" stregoniche è l'utilizzo di pomate e soprattutto del tamburo per provocare la trance e i viaggi ultra-corporei, caratteristiche chiave della pratica sciamanica. E se chi legge pensa che qui stiamo esagerando, consiglio di dare un'occhiata a due dei testi più seri e interessanti mai scritti sull'argomento: "I Benandanti" e "Storia notturna" di Carlo Ginzburg.
Le ultime due caratteristiche peculiari su cui vorrei tornare proprie delle Masche penso siano la presenza più frequente di individui maschili, ossia i "Masconi" rispetto alle altre storie di Masche, che molte volte hanno anche caratteristiche a parte e soprattutto che non erano sempre votate al maligno. Negli ultimi decenni ci siamo abituati a vedere la Strega anche in modo positivo. Sia per la rivalutazione e la politicizzazione di questa figura in ambito femminista, sia per la perdita di potere che il cristianesimo ha avuto sull'immaginario collettivo contemporaneo ma anche per le caratteristiche "ecologiste" di questa figura legata al mondo naturale. Tuttavia, fino al secolo scorso, le fattucchiere venivano viste con paura ad esse erano attribuiti i più orribili misfatti e le più terribili capacità malefiche, poche volte una sfortunata guaritrice veniva confusa con una strega. Masche e Masconi invece, venivano chiamati in soccorso dal popolo in quanto tali e il termine in alcuni casi era addirittura sinonimo di settimino o guaritore, ovviamente cercando di non farlo sapere ai preti (sempre che non si trattasse di masconi guaritori a loro volta!)

Bibliografia selezionata:

"MASCHE" di Donato Bosca e Bruno Murialdo

"Streghe in Piemonte" di Massimo Centini

"I Benandanti" e "Storia notturna" di Carlo Ginzburg

(da finire)

LINK interessanti:

https://axismundi.blog/2018/10/28/frammenti-di-uno-sciamanesimo-dimenticato-le-masche-piemontesi

https://centrostudiomisteritaliani.com/2019/11/06/la-masca-e-il-mascone-approfondimento-sulla-strega-piemontese/

http://www.margutte.com/?p=29395

domenica 2 luglio 2017

Viaggio a Stonehenge per il Solstizio d'Estate 2017.

Era da quando ero piccolo che sognavo di andarci. Oggi è sicuramente la celebrazione solstiziale più conosciuta e probabilmente più commerciale, ma una volta nella vita volevo partecipare e soprattutto volevo toccare le pietre con le mie mani (la notte tra il 20 e il 21 di giugno è l'unico giorno all'anno con il solstizio d'inverno in cui si possa entrare all'interno del cerchio). E' stato comunque un bel viaggio e un'esperienza indimenticabile condivisa con il Gruppo Druidico di Alessandria.


giovedì 4 maggio 2017

San Baudolino: i Longobardi, Alessandria e un santo ancora un pò pagano.

<< A volte è tramite il cristianesmo, e specialmente il cattolicesimo che molte credenze precristiane sono arrivate vive a noi. BAODOLINO (Baudolino, Baldovino) fu un eremita veggente che viveva nei boschi che coprivano le colline e la pianura sulla quale oggi sorge Alessandria e che predisse la sorte a re Liutprando. È oggi il Santo Patrono di Alessandria e la sua festa si celebra il 10 Novembre. >> Ad esso si è ispirato Umberto Eco per il suo romanzo BAUDOLINO.

SAN BAUDOLINO è il santo patrono di Alessandria anche se il santo morì verso il 740 d.c. più di quattro secoli prima della fondazione della città. Questo è interessante per vari motivi: era un'epoca in cui non esistevano processi di canonizzazione, in cui si parlava di personaggi con poteri prodigiosi più che di purezza spirituale. Alessandria venne poi fondata nel 1168, ma riunendo borghi pre-esisteti molto antichi (Gamondio, oggi Castellazzo Bormida, Marengum oggi il villaggio di Marengo, Bergolium che venne demolito nel '700 per costrure la Cittadella, Rovereto che sorgeva proprio sotto al centro storica di Alessandria, quartiere popolare che ancora oggi porta il nome di Borgo Rovereto, Solero, Oviglio, Quargnento e Villa del Foro, Forum, appunto). Stiamo parlando di un periodo, quello in cui visse il santo, che si perde in epoche nebbiose e ignorate della storia e che è caratterizzato dalla persistenza di usi e costumi "primitivi" anche precedenti al periodo romano. Non si può pensare ad esso come un periodo omogeneo, c'erano grandi differenze anche in zone non troppo estese e, per esempio, il Monferrato, come gran part del Piemonte, era via di passaggio tra Francia e Italia con pochi centri urbani e ancora coperta di foreste selvagge. Vi erano alcuni centri, ma gran parte delle persone vivevano in villaggi in cui poco era cambiato in un millennio, muoversi a piedi era una cosa lenta e pericolosa a causa dei briganti.
I romani dopo aver conquistato Derthona, la prima colonia in questo territorio, costruirono la Via Fulvia nel 125 a.c. che passava proprio dall'emporio celto-ligure (già abitato dal paleolitico come dimostrano le selci conservata al Museo di Antichità di Torino) e dopo averlo occupato e urbanizzato in un periodo tra la fine del II e l'inizio del I secolo a.c. lo avevano chiamato Forum Fulvii in onore del console Marco Fulvio Flacco. Questo centro, oggi conosciuto come Villa del Foro (luogo natale del santo) cadde in decadenza ben prima della caduta dell'impero romano d'occidente, forse per le frequenti alluvioni, forse perchè non era facile mantenere l'ordine in una zona selvaggia come questa, per poi scomparire del tutto per diversi secoli nel medioevo. La grande maggioranza della popolazione continuava a vivere nelle campagne, composte principalmente da foreste, a parlare lingue "barbare" (pensiamo che ancora ai suoi tempi Dante nel de vulgari eloquentia" parla di Torino, Trento e Alessandria come luoghi in cui si parlano "lingue volgari bruttissime") e la cristianizzazione era alquanto relativa (leggi del santuario celtico tortonese nel 600 dc.). In oltre dopo i Romani arrivarono varie popolazioni germaniche tra cui i Goti prima e, quelle che ci interessa più da vicino, i Longobardi.

 Liutprando re d'Italia, Pavia 690-744

In Italia e anche da queste parti, curiosamente, si parla sempre molto poco dei Longobardi, popolo germanico proveniente dalla Scandinavia meridionale che regnò per ben due secoli gran parte della penisola fondendosi con le popolazioni italiche e dando il nome alla Lombradia che fino alla fine del medioevo comprendeva anche il Piemonte e gran parte del nord, ossia quella che prima era conosciuta come Gallia Cisalpina. L'Italia, salvo Roma e poche altre regioni fu per secoli il Regno Longobardo la cui capitale fu Pavia che si trovava a poche decine di chilometri e Re e Regine come Teodolinda avevano le loro riserve di caccia proprio nella zona di Alessandria (la zona della "Fraschetta" - a Marengo esiste ancora oggi la Torre Teodolinda). Molti cognomi locali, specialmente quelli nobiliari (Guasco, Gastaldi o Brunoldi ad esempio) o dei nomi propri (Aldo, Guido, Alberto, ecc...) sono di origini Longobarde.

Come si è detto quindi, il processo di urbanizzazione e di civilizzazione romano non fu molto profondo e prevalentemente relegato a pochi centri. Per questo motivo, purtroppo, non ci restano molti doumenti e testimonianze locali scritte del primo millennio dopo Cristo e le testimonianze che riguardano San Baudolino sono più che altro leggende popolari e storie frammentarie scritte dai monaci.


Iniziamo con il dire che già il nome Baudolino (o Baldovino), deriva dal dio norreno Baldr (in cui compare la solita radice pre indoeuropea Bal, Bel, lo splendente, il bellissimo ma anche amico dei coraggiosi) probabilmente legato al Sole e alla natura. Del personaggio storico sappiamo pochissimo, viveva da eremita tra i fitti boschi sulle rive del Tanaro e si occupava dei difficili rapporti delle popolazioni con la natura e con gli animali che faceva ancora paura. La prima e più importante testimonianza ci viene da Paolo Diacono (Paul Warnefried) coevo non solo di Baudolino ma anche di Carlo Magno. Ci racconta che il santo aveva più che altro doti soprannaturali, riusciva a prevedere il futuro e a fare prodigi e ce ne racconta uno, non troppo clamoroso: Durante una battuta di caccia nella Silva Urba (la piana di Marengo a pochi chilometri) il nipote di Liutprando Anfuso fu erroneamente colpito, e il Re mandò un messo a chiamare Baudolino affinché gli prestasse le cure necessarie. Nel frattempo Anfuso morì e quando il messo giunse dall'eremita questi affermò di sapere già tutto, ma che non poteva fare più niente perché il giovane era già spirato. Da questo miracolo Umberto Eco prese spunto per un articolo sul carattere degli alessandrini "non particolarmente caloroso" e in seguito per il suo libro "Baudolino".

 Paolo Diacono

BAUDOLINO E LE OCHE
La storia più famosa è quella delle oche: dai boschi un giorno uscirono queste oche selvatiche, grosse e particolarmente aggressive, che devastavano i campi della zona contro le quali i contadini non potevano niente. Così si decise di interpellare Baudolino che arrivò e ordinò ai volatili di presentarsi al suo cospetto, cosa che tra lo stupore dei cittadini avvenne. Il santo fece rinchiudere tutte le oche per la notte e l'indomani le liberò raccomandandosi di allontanarsi e di smetterla di fare danni. Le oche però restarono li facendo un gran baccano. Un'oca infatti era stata rubata da qualcuno nella notte, così Baudolino se ne fece portare un'altra, riconoscibile nell'iconografia del santo perché è l'unica bianca in mezzo alle altre grige. Di questo episodio resta il ricordo nella cultura popolare ma anche nel testo cinquecentesco del teologo domenicano Arcangelo Caraccia da Rivalta.


IL MIRACOLO DELLA CERVA
Un'altro "miracolo" riguarda ancora una volta gli animali, in questo caso una cerva e anche questo ricorda più un prodigio pagano che un miracolo divino ed è arrivato a noi nella sua versione rimaneggiata durante il medioevo: Il santo eremita infatti doveva recarsi da uno dei due unici vescovi che esistevano in questa zona all'epoca, ossia ad Acqui (l'altro era a Tortona) e venne accompagnato da un giovane al quale però durante il cammino venne una sete veramente insopportabile. Allora Baudolino si mise a chiamare una cerva che miracolosamente uscì dal folto del bosco e lo ristorò con il suo latte freschissimo.

IL SUO MAGICO MANTELLO
Ancora un'altra volta il nostro eremita dovette recarsi dal vescovo, questa volta a Tortona che avendone sentite le prodigiose storie dal popolo lo mandò a chiamare. Il santo si mise in cammino ma ad ostacolarne il percorso si trovò il fiume: fu così che per attraversare il fiume Bormida il nostro futuro patrono non fece altro che stendere il suo magico mantello sulle acque e camminarci sopra come se niente fosse, arrivando miracolosamente dalla parte opposta.


San Baudolino di solito è rappresentato con sembianze episcopali storicamente impossibili, circondato da oche e cervi.

Baudolino quindi non è un santo che fa miracoli clamorosi, combatte il demonio o salva i peccatori, ma si occupa di cose molto più concrete come quelli che affliggevano i contadini dell'alto medioevo in una zona difficile come questa. L'unica volta che il Santo è chiamato a salvare il nipote di Liutprando non ci prova nemmeno e quello che è forse il prodigio più soprannaturale, quello del mantello, non ha nulla a che fare con la religione ma sembra una semplice dimostrazione di magia.

L'ICONOGRAFIA DEL SANTO
Il santo di solito è rappresentato come un vescovo con vestiti episcopali recenti, storicamente impossibili, immagine che quindi ci dà un'idea sbagliata, costruita nel corso dei secoli successivi. Nel medioevo le testimonianze realistiche si mischiarono con altre assurde come quelle in cui si dice che fosse stato anche vescovo di Alessandria anche se la sua morte risale a più di quattro secoli prima della fondazione della città! Oppure quella in cui si dice che intorno al 1200 fosse stato visto girare  sui bastioni per difendere il capoluogo durante un assedio. Per dare un'idea migliore del periodo in cui visse l'eremita è interessante visitare qualcuna delle chiese più antiche della zona che, anche se successive a Baudolino di qualche secolo, conservano i caratteri barbarici e oscuri di quei secoli come ad esempio le pievi di San Secondo a Cortazzone (di cui parliamo dettagliatamente qui: LINK) o di Santissima Trinità da Longi a Castellazzo. Queste chiese romaniche che probabilmente risalgono al  1000-1100 (non esistono nemmeno i documenti di fondazione) sono ancora legate profondamente ad un estetica che mischia caratteri celtici, longobardi e addirittura preistorici (vedere l'accoppiamento in stile particolarmente primitivo) e ci ricorda quanto dovessero essere remote e selvagge queste zone prima dell'anno 1000.

Pieve di San Secondo a Cortazzone (AT): Nodi e decorazioni "barbariche" più o meno ordinate, accoppiamenti rituali, animali mitici, simboli sessuali e altri incomprensibili. Il cristianesimo cerca di imporsi in modo ancora incerto tra le popolazioni locali attorno all'anno 1000 e quando non ci riesce si mescola, si sovrappone alle leggende locali di origine celtica e con credenze germaniche arrivate con i longobardi. Di questa chiesa parliamo dettagliatamente qui: LINK

L'immagine del santo quindi è stata "aggiornata" nel corso dei secoli, con vestiti episcopali, bastoni vescovili

APPENDICE: La chiesa di San Baudolino a Villa del Foro è dedicata anche a Santa Varena, altra santa le cui origini si perdono nel tempo e profondamente legata a prodigi soprannaturali. A lei è dedicata la pietra guaritrice con poteri taumaturgici di antiche origini pagane sulla quale è costruita la chiesa [LINK]

Bibliografia:
- Paulus Diaconus, Historia Langobardorum. Liber VI
- Giuseppe Amato: Vita di San Baudolino
- Umberto Eco: Baudolino

Links:
https://it.wikipedia.org/wiki/San_Baudolino

giovedì 20 aprile 2017

Gran Tour in bici delle pietre magiche nel monferrato alessandrino.

Introduzione: Oggi piove, è maggio ma ci sono 10 gradi, sono sceso a comprare due cose e ho sentito gente che ancora una volta si lamentava di questi posti. Bene, non piove tutti i giorni e quelli che si lamentano di solito sono quelli che non escono di casa se non in macchina per andare al centro commerciale. Bene questo mi spinge a fare questo post. Ho la fortuna di abitare in mezzo ad una delle zone più belle d'Europa, ricca di storia popolare e folklore che purtroppo è in gran parte sparita. La settimana scorsa ho fatto questo giro attraverso il monferrato Alessandrino e ho toccato 3 siti caratterizzati dalla presenza di pietre magiche o guaritrici, così popolari in piemonte legate al folklore e una religiosità antichissima oggi difficilmete comprensibili. Questi tre luoghi sono sparsi tra colline magnifiche, paesi monferrini arroccati sulla cima delle colline e panorami mozzafiato. 

Il giro è di circa 75 km, il dislivello non sono riuscito a calcolarlo ma penso sia intorno ai 1000 m. La strada è asfaltata al 95% anche di più. Quindi non è proprio una passeggiata ed è consigliabile una bici da touring. Il perido migliore è primavera (aprile/maggio) e l'autunno, in particolare ottobre. Ma evitando i giorni più freddi, la neve e la pioggia o il caldo estremo d'estate il giro è effettuabile tutto l'anno.

(aggiornamento 2023, traccia komoot qui: https://www.komoot.com/it-it/tour/1035486937?ref=wta




Si parte dalla stazione di Alessandria, se non siete di queste parti quindi si può arrivare in treno. Usciti dalla stazione si va a sinistra, alla rotonda di nuovo a sinistra, dopo un pezzo di brutto e trafficato spalto troviamo un'altra rotonda. A questo punto possiamo imboccare la ciclabile a destra, che pur in cattive condizioni ci renderà il percorso urbano più tranquillo. La seguiamo e arriviamo al nuovo ponte. A questo punto giriamo a destra per un centinaio di metri e imbocchiamo di nuovo la ciclabile a sinistra seguendola oltre lo stadio fino alla rotonda che incrocia Viale MIlite Ignoto. Qui imbocchiamo il viale tenendoci a destra sempre sulla ciclabile, per alcuni chilometri. Uscendo dalla città bisognerà spostarsi sulla sinistra per per prendere il sottopasso ciclabile in corrispondenza del grande svincolo della tangenziale, passiamo il ponte Tanaro e facciamo ancora un pezzo di ciclabile in condizioni deprecabili fino al sanatorio borsalino. A questo punto giriamo a sinistra e iniziamo il nostro giro in campagna. Andando verso la Valmilana seguiamo però la strada per Valle San Bartolomeo. Arrivati in questo sobborgo incontriamo un incrocio e svoltiamo a sinistra salendo in direzione Pecetto. Incontriamo il primo tornante e vedremo il sulla sinistra il bellissimo murale di Riccardo Guasco dedicato a Borsalino. Proprio sulla destra noteremo una pietra conficcata nel terreno, in cui alcuni riconoscono la "Peira del tempural" (pietra del temporale) [LINK] del folklore locale.



Proseguiamo e passati 2 piccoli tornanti arriviamo all'incrocio con una piccola stradina che scende sulla sinistra. A questo punto la prendiamo e praticamente torniamo indietro facendo quasi un anello percorrendo un pezzo di valle che pur essendo vicinissimo alla città ci regala viste meravigliose.


Comunque incrociamo la via Cerca e svoltando a destra la seguiamo fino a Gerlotti. Qui incrociamo la statale per Casale e dobbiamo prenderla per circa un km. Poi svoltiamo di nuovo a sinistra ritornando su strade di campagna. Non siamo ancora nella zona più bella ma iniziano ad esserci begli scorci di Monferrato. Comunque proseguiamo sulla proviciale 75 passiamo giardinetto e dopo circa un km, bisogna stare attenti a non perdere una stradina sulla destra che va verso Lu passando per una valletta meravigliosa, soprattutto in primavera. Ad un certo punto diventa sterrata dividendosi, prendiamo quella sulla destra e proseguiamo arrivando nel bel borgo di Lu Monferrato su una salita molto ripida.


Se vogliamo e abbiamo energie, possiamo visitare il bellissimo paese, se no proseguiamo verso conzano, altro sali e scendi e panorami meravigliosi. Bisogna dire che ci sarebbe una scorciatoia: una strada vicinale sterrata che resta in fondo valle e che incrociamo prima di salire a Conzano sulla sinistra. Ma ci perderemmo panorama e salite!



Una volta arrivati a Conzano scendiamo di nuovo e risaliamo a Camagna finalmente. Esattamente entrando in paese ci troviamo davanti ad una grande pittura murale di qualche anno fa. La prima cosa che vediamo è una strana forma nera con la scritta: "La Culiëta, la peira d'Camagna d'na vota ch'la marcava al'temp" (La Culiëta,la pietra di Camagna di una volta che segnava il tempo).


Questa Pietra di cui parliamo qui [LINK] purtroppo è stata murata ma noi sappiamo dove si trova! Prendendo la strada a sinistra andiamo avanti qualche centinaio di metri (ancora salita molto forte!!!) e incontriamo una chiesa bellissima in mattoni dedicata al solito Sant'Eusebio, cristianizzatore del Piemonte. Come diceva un anziano signore una volta: "n'do ca l'è Sant'Eusèbi ù iè semper il diavùl!" per dire che dove c'è Sant'Eusebio c'è sempre qualcosa di pagano [LINK]. Infatti i suoi santuari si trovano sempre su qualche luogo di culto precedente (vedi Oropa o Crea).



Bene al di sotto di questa chiesa c'è un muro di mattoni, con una Madonna, che sembra proprio ad una Matrona romana ed è li sotto che si trova la vecchia pietra che prediceva il tempo!



Immaginando la Pietra (non possiamo sapere se fosse una pitra naturale o un menhir) possiamo ripartire alla volta della pietra più famosa: La pietra di Santa Varena! Ci aspetta ancora un lungo tratto di strada, molto bello. Scendiamo di nuovo e prima di risalire a Cuccaro sulla sinistra vediamo la strada consortile che avevamo visto prima. Ci sarebbe molto da dire su questa pietra e rimandiamo alla pagina a lei dedicata [LINK], sappiate che la cristianizzazione non riuscì a cancellarne la fama, infatti venne usata come prima pietra di costruzione per la chiesa ma lasciata in vista con la scritta in evidenza. Ancora oggi qualcuno con dolori alla schiena si reca sulla scala, appoggia la parte dolorante e recità per tre volte: "Santa Vareina, Santa Vareina fame pasè l'mal de schiena!". In questo caso dopo quasi 70 km di sali e scendi in bici sarà molto utile!





Ripartiamo verso Alessandria, attraversiamo Casal Bagliano con il suo castello ormai ridotto a rovina, passando in una zona abitata fin dal neolitico in cui sono stati molti i ritrovamenti importanti (oltre a Villa del Foro anche il sito di Cascina Chiappona) relativi ai siti abitativi precedenti alla fondazione di Alessandria. Entriamo ad Alessandria proprio vicino alla stazione in cui poi potremo riprendere il treno con le nostre biciclette al seguito. Ci sarebbe molto da dire su questa pietra e rimandiamo alla pagina a lei dedicata [LINK], sappiate che la cristianizzazione non riuscì a cancellarne la fama, infatti venne usata come prima pietra di costruzione per la chiesa ma lasciata in vista con la scritta in evidenza. Ancora oggi qualcuno con dolori alla schiena si reca sulla scala, appoggia la parte dolorante e recità per tre volte: "Santa Vareina, Santa Vareina fame pasè l'mal de schiena!". In questo caso dopo quasi 70 km di sali e scendi in bici sarà molto utile! Ripartiamo verso Alessandria, attraversiamo Casal Bagliano con il suo castello ormai ridotto a rovina, passando in una zona abitata fin dal neolitico in cui sono stati molti i ritrovamenti importanti (oltre a Villa del Foro anche il sito di Cascina Chiappona) relativi ai siti abitativi precedenti alla fondazione di Alessandria. Entriamo ad Alessandria proprio vicino alla stazione in cui poi potremo riprendere il treno con le nostre biciclette al seguito.

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Per quanto riguarda links, bibliografia e maggiori informazioni seguite i collegamenti che trovate lungo il testo. Ovviamente il percorso può essere effettuato anche in auto o in moto anche se in bici o a piedi ha tutta un'altra importanza.